mercoledì 11 gennaio 2012

"Il Morgante" di Pulci tra burla e cavalleria

Tutti gli appassionati di letteratura italiana all'estero conoscono la grandezza dell'autore dell'Orlando Furioso, Ludovico Ariosto, ma pochi conoscono l'autore quattrocentesco Luigi Pulci che fu anello di congiunzione tra l'epica popolare e l'elegante epica classica del Rinascimento.
Luigi Pulci scrisse "il Morgante" per invito di Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico, la quale probabilmente si attendeva un poema di carattere religioso e invece si trova di fronte a una delle opere più bizzarre e ricche di invenzioni della nostra letteratura.
Il poema narra le avventure di Orlando in Oriente, dopo che egli ha abbandonato l'esercito di Carlo Magno, perché questi aveva dato ascolto alle calunnie di Gano di Maganza.
Il titolo di" Morgante" deriva da un gigante che è personaggio minore nell'azione, ma che sin dall'inizio attirò su di sé le simpatie del poeta e dei suoi primi lettori. Egli è un gigante enorme, semplicione nello spirito ma violento di mani, che rappresenta in un certo modo il principio del bene.
La sua fame è insaziabile: un intero elefante gli basta appena, e un pino gli serve per stuzzicadenti. Muore per il morso di un granchiolino al tallone e, morto, va in Paradiso.
Straordinario è il vigore rappresentativo del Pulci: si direbbe che l'autore veda con gli occhi quello che passa nella sua fantasia.

Nessun commento:

Posta un commento