Giunto alla mensa si accorge che tutti gli ospiti, lui compreso hanno perso la favella.
Ma alla fine della cena, succede qualcosa di strano:
“A quel punto sulla tavola appena sparecchiata, colui che pareva essere il castellano posò un
mazzo di carte da gioco. Erano
tarocchi più grandi di quelli con cui si gioca in partita o con cui le zingare predicono l’avvenire […] Eppure non sembrava che alcuno di noi avesse voglia d’iniziare una partita, e tanto meno di mettersi a interrogare l’avvenire, dato che d’ogni avvenire sembravamo svuotati […]. Era qualcos'altro che vedevamo in quei tarocchi, qualcosa che non ci lasciava più staccare gli occhi […]Uno dei commensali tirò a sé le carte sparse, lasciando sgombra una larga parte del tavolo; ma non le radunò in mazzo né le mescolò; prese una carta e la posò davanti a sé.
Tutti notammo la somiglianza tra il suo viso e quello della figura, e ci parve di capire che con quella carta egli voleva dire io e che s’accingeva a raccontare la sua storia.”
Italo Calvino, Il Castello dei destini incrociati, 1973
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